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A passeggio per torino

Un ricordo lontano: la zuppa di cipolle

Perchè un ricordo lontano?

Ieri su Facebook una mia “vecchia” amica, Eliana Minicozzi, una grande donna, mi ha ricordato una fantastica zuppa di cipolle che ho cucinato nella notte dei tempi.

Lei, la mia amica, è stata una mia docente all’università e la relatrice della mia tesi di laurea in intelligenza artificiale (era il 75). Il suo ricordo ne ha scatenato tanti altri, oltre che una serie di considerazioni su come si viveva allora, su come la gente partecipava alla vita pubblica, su cosa i giornali scrivevano. Ho smesso immediatamente di ricordare, troppo strazio, ho appena letto un giornale e visto un tg…

Ma il ricordo di quella zuppa di cipolle mi ha fatto venire voglia di rifarla. Comincio con il ricordare la ricetta.

Per quattro persone: (le dosi sono a occhio, al massimo chiamate un quinto amico…)

un chilo di cipolle (anche di più…)
un litro di brodo
due etti di groviera tagliato a striscioline sottili
quattro grosse fette di pane (o tante piccole) abbrustolito, deve essere secco
100 grammi di burro o un bicchiere di olio
un cucchiaio di farina
un bicchiere di porto
un bicchiere di vino bianco secco

Tagliate a fettine sottili le cipolle (lo so è uno strazio, però bisogna soffrire)
Mettetele in una grande padella con l’olio o il burro e fatele rosolare molto lentamente per molto tempo: devono sudare ma non devono diventare brune. Sono pronte quando sono una poltiglia morbidissima.
A questo punto aggiungete il bicchiere di vino bianco, il cucchiaio di farina fatto cadere a pioggia, un po di sale e pepe e lasciate sfumare.
Aggiungete le cipolle al brodo caldo e lasciate insaporire. L’aspetto del tutto deve essere cremoso e  morbido.
Preparate in una teglia le fette di pane sul fondo, irroratele con il brodo di cipolle, spargete sopra il bicchiere di porto e mettete nel forno caldissimo (250 gradi).
Quando si è formata una bella crosticina bruna, togliete dal forno e servite.
Vedrete che non ha l’aspetto di una zuppa, si può mangiare con la forchetta.

Non è la classica zuppa di cipolle alla francese, ma è la MIA zuppa di cipolle, mia e di Mariella, quella che cucinammo tanti, ma tanti anni fa e che mi ha riportato alla mente bellissimi ricordi.

P.S. La foto non è mia, ma è quella che assomiglia di più al ricordo di quella vecchia zuppa.

Orto nel fossato del castello. Vercelli

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Santoni, guru e berluscones

Qualche giorno fa è stato arrestato un “guru” che con qualche scusa bizzarra si faceva consegnare dai suoi “adepti” (un migliaio di persone) denaro, figlie, proprietà e tutto quello che poteva arraffare.

Non è il solo. Ce ne sono stati molti che hanno abbindolato povera gente, Vanna Marchi compresa, ma che di persone ne ha rovinate decine di migliaia, vendendo amuleti, talismani e creme dimagranti a base di acqua fresca.

In questi casi io penso alle persone che sono state fregate dal guru. Cerco di capire come sia possibile non riuscire a distinguere tra un truffatore e un onesto. Le truffe in questi casi non sono affatto sofisticate, anzi, sono le più becere possibili: per 100 euro ti vendo un talismano (personalizzato) che risolverà i tuoi problemi. Poi se la cosa non funziona vuol dire che il tuo maleficio è “super”, allora vieni da me, che per le modica cifra di qualche decina di migliaia di eiro ti faccio un trattamento personalizzato che sicuramente risolverà. E c’è gente, tanta, che ci casca.

Queste persone sono quelle che si chiamavano una volta “i poveri di spirito”, quelli che non hanno il pur minimo strumento per capire la realtà, quelli che hanno paura ad andare in posta a fare una raccomandata perchè non sanno neppure cosa chiedere, quelli che non hanno mai preso una decisione ragionata perchè le scelte le ha sempre decise qualcun’altro, quelli che parlano sempre per sentito dire, quelli che votano quello che vota qualcuno di cui si fidano.

Al tempo delle ideologie forti (fascisti, democristiani, comunisti, ci metto anche la chiesa) i partiti accoglievano schiere di queste persone dando loro sicurezza. In “sezione”, o in parrocchia c’era sempre qualcuno disposto ad aiutarli, a suggerire scelte (in buona o cattiva fede, non importa), in fondo erano un patrimonio di voti prezioso.

Oggi, tempo in cui la capacità di analisi o l’attitudine al dubbio è un inutile orpello, le ideologie sono state sostituite dalla “capacità di fare”, dal vittimismo, dalle dimostrazioni di forza al di là e al di sopra delle regole, che la gente non ricorda neppure, dal desiderio di emulazione. E i “poveri di spirito” ci cascano di nuovo.

Non vorrei sembrare razzista, assolutamente, provo per queste persone una profonda compassione. Mi chiedo solo cosa possiamo fare per loro e per le nuove generazioni, per evitare che i giovani crescano senza accorgersi che esistono delle regole, perchè dubitino sempre di ciò che sentono, perchè non ragionino per sentiti dire.

Perchè ciò che di buono si può fare per loro lo facciamo anche per noi.

Tre milioni e il fondo

Ricordo molto bene il 23 marzo 2002, quando Cofferati, per difendere l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, chiamò a raccolta il “popolo della sinistra” e parlò a Roma, al Circo Massimo, davanti a tre milioni di persone (ovviamente la questura avrà detto che erano 300.000 e Bondi che erano una quindicina).

Che cosa ha spinto tre milioni di persone a radunarsi nello stesso posto? Mostrare fisicamente, materialmente l’indignazione di ognuna di quelle persone per il tentativo del governo di modificare un diritto.

E cosa è cambiato da allora ad oggi. Quanti diritti sono stati tolti da questo governo? Quante leggi modificate per il proprio tornaconto? Quanti favori a chi ha commesso illegalità, come lo scudo fiscale. Tutte leggi che favoriscono i pochi (amici) togliendo quindi ai molti i diritti che la costituzione e le leggi dovrebbero garantire.

E perchè allora la gente non fa nulla? Perchè siamo sempre solo noi che ci scambiamo indignazioni ma non riusciamo a far indignare altri?

Forse manca qualcuno che “chiami” la gente all’indignazione, qualcuno di forte, di credibile, che possa raccogliere a prescindere dal partito di appartenenza.

Si, credo abbia ragione Lucrezia, siamo noi ad avere toccato il fondo. Loro alzano asticelle e noi (scusate la genericità) ci appiattiamo verso il basso, verso il fondo, che non si raggiunge mai.